martedì 30 dicembre 2014
Buon anno e buona fine del mondo
E così quest'anno sta per finire, e assieme ad esso il mondo.
Avvicinandosi alla mezzanotte tutti godranno magicamente di una grande consapevolezza, un verme strisciante nel cervello di ogni essere umano, bambini compresi, che scivolando qui e là troverà il punto giusto, quello dove si intersecano i pensieri, e ci farà venire in mente un'idea, questa: niente ha senso.
Dopodiché le cose andranno finalmente a posto.
L'acqua sparirà tutta, se ne tornerà al cielo e leggera su su fino allo spazio, un nuvolone enorme fluttuante verso altri mondi. Quaggiù solo fuoco e polvere. La gente si lancerà istintivamente a bere il sangue di altra gente, e degli animali, persino dei topi e dei negri.
A questo punto potranno sopravvivere solo i più forti e i più intelligenti, le strade battute da morbi innominabili e cenere velenosa.
Quindi alla conquista dei bunker. Ce ne sono alcuni con depositi di acqua potabile. E cibo. E femmine da rapire, nella notte. Si torna a te che esci, ti guardi intorno, vedi una che ti piace e la copri.
Si torna a cacciare nei boschi, a fondersi con la natura.
Dai fuochi sgorgati dalla terra si trarrà calore e speranza, e la speranza diverrà sogno, e dal sogno nasceranno nuovi dei, divinità terribili, e avranno il nome di ogni sciagura, Freddo, Morte, Fame e Orrore, e saranno neri come la notte e terribili come la terra da cui non c'è ritorno.
E danzeranno i nuovi uomini intorno ai loro idoli, e tra gli idoli più forti vi sarà guerra, e la guerra porterà malattie e disperazione, e dalla disperazione altri sogni, e altri dei ancora, questi coi nomi di tutte le malattie dell'uomo, e questi saranno Pietà, Dolore, Paura e Debolezza, cari specialmente agli ultimi, il cui lamento si leverà sulla turba umana come un sudario di sonno della ragione, e questo tutt'uno formerà il Dio della paura, il Dio bambino della vendetta.
E poi accuse, rapimenti, io prendo il tuo dio tu prendi il mio. Io mi impongo, tu anche.
Dov'erano i mari saranno paludi, dove svettavano i monti deserti pietrosi; le verdi praterie campi incendiati dal sole, le città tumuli spettrali.
Le fiere più feroci evolveranno in mostri temibili, gli uomini dalla pelle gialla in fiere e quelli marroncini in scimmie rapidissime.
I negri andranno a vivere sottoterra e nel corso di poche generazioni diverranno bianchissimi, mentre i bianchi scuriti dal sole e abbruttiti dalla vita terribile in superficie diverranno negri.
Tutti gli uccelli marini privati del mare perderanno il sonno, e al posto degli occhi verranno loro due cavità tenebrose, con versi simili a grida infernali.
I gatti invece non faranno altro che dormire, imparando a ingrassare anche nel sonno. Si poseranno ai bordi delle strade e si potrà vederli espandersi a vista, gonfiarsi fremendo di lussuria. Ma non li si potrà mangiare, poiché sono sacri all'uomo dai tempi della civiltà sul Nilo.
Ci si nutrirà invece delle femmine senza figli, poiché una donna senza figli varrà quanto un ebreo che non sa contare.
A proposito, gli ebrei distrutti e privati di tutto abbracceranno finalmente la croce, la alzeranno sulle loro sinagoghe scintillanti e piangeranno sulle costole del cristo, già rinato come Dio bambino all'inizio della catastrofe ma non riconosciuto da loro.
C'è solo cristo 1, dice l'ebreo, e Yhwh non può rinascere.
Per questo sarà allora perseguitato e gettato nelle caverne dei negri, e imparerà a fuggire e ad adorare anche Orrore e Morte, e i suoi occhi saranno rossi di notte e freddi di giorno.
E torneranno le grandi civiltà del passato, e greci e romani s'incontreranno nel mare del mito ancora una volta.
Tutte le persone felici saranno ridotte in tristezza, tutti i tristi iniziati alla temperanza.
I depressi avranno una loro personale divisione delle SS e perseguiteranno ferocemente tutte le persone spensierate, e i più intelligenti tra loro ascenderanno al grado di Custode dell'Eternità, indossato il mantello nero del cosmo si incammineranno verso i mondi lontani.
Ma chi resta sarà dato in pasto ai coccodrilli del Po, ché la vita non ci è cara e la gettiamo volentieri in pasto ai rettili.
Lucertole giganti zampetteranno negli orti straziati dal sole, sciami di api sciabolatrici assassine fenderanno ogni incauto viaggiatore.
Gli asini saranno ufficialmente cavalli scemi, e i cavalli zebre sobrie. I cammelli verranno annessi alla famiglia dei magrebini, e ogni ariano puro dovrà avere un corvo nero come famiglio da lanciare sulle prede.
Agli scimpanzé sarà riconosciuto il diritto di voto purché non lo esercitino, mentre ai pre-mongoli dell'estinto sud-america verrà proibito di vestirsi come dei coglioni, e anche di camminare in istrada di giorno.
Le uniche lingue parlate saranno il greco antico e il latino imperiale - italiano e francese verranno impiegate nella letteratura più colta, mentre le lingue germaniche verranno insegnate ai pesci.
E le case avranno tutte il tetto a punta per separare la cenere, e infine riprenderà a piovere ma questa volta non dalle nuvole ma direttamente dallo spazio.
E ci saranno canti, e risa e scoppi per la pioggia delle stelle, e tutti danzeranno a festa, i negri torneranno in superficie e i bianchi costruiranno barche per navigare i nuovi mari siderali.
Allora tutte le madonne saranno abbattute, i dogmi sciolti e gli ideali sparecchiati, ognuno se ne laverà le mani e fuggirà da qualche parte. Chi con una donna chi da solo.
Chi nudo e chi ricoperto di sangue.
Tutti in direzioni diverse, Tutti pazzi di gioia e di terrore.
E non sarà più ne giorno né notte, Né caldo né freddo.
Non sarà più niente, tutto sarà strappato dalla contrarietà degli eventi risolvendosi in nulla, e buio, e vuoto, e silenzio.
L'occhio di Elios guarderà immobile e perfetto il suo sistema, dove ciechi e morti girano i suoi satelliti di roccia e di gas e di altro ancora, alcuni fatti addirittura di niente.
Là dov'era la terra resterà solo un lumicino e un vecchio che lo tiene in mano.
E il vecchio dirà: niente ha senso. Poi soffiando sul lumino spegnerà tutto e anche quest'anno sarà finito.
Buona fine del mondo. Meno male che è finito.
- Scritto e non riletto -
lunedì 22 dicembre 2014
Terre di nessuno
Sotto un cielo viola, spazzata da venti oscuri, si staglia l'immobile vallata che è questa terra, pietre spezzate che coprono piante morte, e i pochi alberi ancora in piedi maledicono il cielo con le loro braccia scheletriche. Acque putride lambiscono le terre ombrate, e ovunque regna il silenzio della resa. Sotto una tremula scia lunare, tra rovine di quelle che un tempo furono case e palazzi, un demone alato siede su una vecchia colonna strappata alla terra; lo sguardo perso e indefinito come a cercare qualcosa che non c'è mai stato. Due dita sotto al mento, in ossequiosa meditazione notturna, pallido e magro, con le ali scosse dal vento polveroso della rovina, sembra lottare tra sonno e fame, o forse nessuna delle due, tanto è indecifrabile il suo volto. E poi dal nero che separa le stelle scende un uomo, e si siede nell'incavo di una saetta.
- Demone, che te ne stai il pensierosa attesa di neanche tu sai cosa - dice costui -, perché qui è tutto così silenzioso, dov'è il fuoco degli uomini, dove le loro danze colorate?
Il demone parve come sottratto dal pensiero di una rivincita, e stancamente, colmo dell'inespressività che segue a una lunga battaglia, prese a indicare la desolata landa, la mano bianca e morbida, venata di rosso, le lunghe unghie a scavare il vento: - Qui, oh uomo, sorgevano le dimore del Primo Uomo, e il cielo era azzurro, e la natura cantava sotto il sole dell'estate. Ma ora, ombra, che dal nero sei venuta, qui niente più sarà come prima, ché ora soffia il vento che uccide la vita, e solo io posso dimorare in questa disperazione senza tempo.
- Io, demone, vengo da molto lontano - gli rispose l'uomo - e, in un certo senso, è come se fossi tornato. Ma qui nacquero i miei avi, ed è loro che io vengo a visitare. E trovo la fine delle cose, e tutto qui è spoglio, tutto piange. Spiegami, te ne prego, cosa è accaduto? e dove si persero i miei compagni e il calore delle loro case?
Sotto le palpebre pesanti, rame scintillante sotto il pallore lunare, il demone errò col pensiero a ere lontane, raccogliendo memorie che danzavano nella litania disperata di quella notte.
- Troppo oltre si spinse l'uomo nelle sue lucide follie, e cercò il rigore della scienza là dove la sua mente non poteva sostenerne le incertezze, e volle trovare se stesso non nella luce del sole, ma nelle proprie oscure profondità; e ancora, prese a vivere per effimere ricchezze, rifuggendo la sua natura libera, facendosi schiavo dei padroni da esso creati, scherzando con la materia. E i figli dell'uomo crebbero contorti, confusi e ciechi davanti all'immensità delle cose. Così, come un vortice d'acqua scura mulina nel fondo di un pozzo tetro, l'uomo prese a consumarsi ruotando nel proprio insensato vorticare, fino a sbriciolarsi come lo scoglio che lambisce il mare dell'eternità. Queste sono le sue rovine, e davanti hai solo un guardiano, che ha sempre fame di altre rovine e di infiniti silenzi, e da sempre vaga in una terra morta, ombra dell'uomo: o forse dovrei chiamarti viaggiatore delle stelle, figlio dei Primi, e colui che ritorna?
- Non importa chi io sia, o come sono giunto qui - osservò l'uomo - Il tuo compito è finito, la tua veglia cessata, torna a dormire di dove vieni, o indicami i camini più brevi; qui, sotto il cielo stellato non sei più solo. Presto altri miei fratelli verranno, e altri, in altri luoghi, già sono giunti. Noi rifonderemo città e villaggi, e la nostra stirpe, forte del sapere delle stelle, rifiorirà, come fiorirono le colonne su cui ora malamente siedi.
E notò l'uomo, solo allora, che nessuna traccia era dei nuovi venuti, là dove colonie avrebbero dovuto affacciarsi come scie di ragione nella pazzia di quel paesaggio. Dov'erano, dove i suoi fratelli, i procuratori dei nuovi mondi, i prima di lui partiti e tutti gli altri abitanti delle rocciose lande oltre il sistema solare e delle gassose sfere distanti dal sole che parimenti avevano deciso di tornare?
- Dove sono tutti, me lo puoi indicare?
- Dove sono tutti, me lo puoi indicare?
E il demone iniziò a ridere, così forte che l'eco della sua stridula risata sembrò, per un attimo, ridare vita spettrale alle cose.
- Sciocco, siamo noi la follia dell'uomo, l'orribile parto empio della sua mente: l'Orrore. Noi siamo la sua eredità, il suo figlio abortito nella notte di tempesta, la sua progenie nata dall'incrocio di mille tetre guerre d'odio: la sua furia. Qui noi, cugino, ora dimoriamo, sacerdoti adoranti verso il nostro Dio: le stelle, e di esse ci nutriamo, e non di luce, ma dei loro scarti parlanti che sempre tornano ricordandosi ancora di questo folle mondo.
Detto ciò si alzo e gli si fece incontro.
Detto ciò si alzo e gli si fece incontro.
Poi furono solo grida nella notte, e la pallida alba di un sole ormai consumato invase con una stanca luce la desolata landa, illuminando il banchetto tra le macerie, mentre altri demoni bianchi si radunavano tutt'intorno frenetici di devozione.
"Gloria alle stelle!" - intonarono.
"Gloria a coloro che tornano e che noi divoriamo" - urlarono ebbri di pazzia.
E così gira il mondo, buio e infestato. E la patria degli uomini più non è, ché da dove essi giunsero ora regnano i divoratori, in attesa di coloro che sempre tornano.
"Gloria alle stelle!" - intonarono.
"Gloria a coloro che tornano e che noi divoriamo" - urlarono ebbri di pazzia.
E così gira il mondo, buio e infestato. E la patria degli uomini più non è, ché da dove essi giunsero ora regnano i divoratori, in attesa di coloro che sempre tornano.
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